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La Storia

Infanzia Papa Giovanni XXIII

Chi era Papa Giovanni XXIII?

Angelo Giuseppe Roncalli nacque il 25 novembre 1881 a Sotto il Monte, 16 Km a sud ovest di Bergamo, quartogenito dei 13 figli e figlie di Battista Roncalli e Marianna Mazzola.

Crebbe in una modestissima famiglia di contadini mezzadri in un ambiente povero. La più grande ricchezza della famiglia era la fede indiscussa, la carità, la fiducia assoluta nella Provvidenza di Dio, la preghiera comune quotidiana, che erano fonte di grande serenità.

Manifestando fin dalla fanciullezza una seria inclinazione alla vita ecclesiastica, terminate le elementari, si preparò all’ingresso nel seminario diocesano; nel 1904 fu ordinato sacerdote. Continuò la sua formazione teologica e rivestì numerosi e complessi incarichi.

Il 28 ottobre 1958, all’età di 77 anni, Roncalli viene eletto Papa ed assume il nome di Giovanni, l’evangelista della carità. La sua simpatia, la semplicità, il cuore e l’intelligenza riescono a conquistare tutti. Nel cuore di ognuno rimangono le parole pronunciate la sera dell’11 ottobre 1962, al termine della fiaccolata che apre il Concilio Vaticano II: “tornando a casa, troverete i vostri bambini, date una carezza ai vostri bambini e dite: questa è la carezza del Papa”.

Il 3 giugno 1963 muore Papa Giovanni, dopo 4 anni e 6 mesi di pontificato.

 

Primaria Antonio Bruni

Chi era Antonio Bruni

Di Antonio Bruni non sono arrivati fino a noi né ritratti né fotografie; a raffigurarlo degnamente sarà dunque il timbro di quella “Società per la lettura popolare” che fu la realizzazione precoce della sua missione di educatore. Canonica la sua nascita pratese, in una famiglia modesta di berrettai e tessitori; il giovane Bruni però mostrò presto un’inclinazione agli studi che lo condusse fino ad una laurea in legge a Pisa a 19 anni. Ma il suo destino non era l’avvocatura. Nel 1861, un anno prima di laurearsi, quindi diciottenne, aveva fondato con otto amici a Prato la biblioteca popolare circolante, la prima in Italia, modellata sugli esempi già attivi da alcuni anni nei paesi anglosassoni e in Germania. La diffusione della “buona” cultura – da quella tecnico-economica a quella letteraria, da quella civile e politica a quella storica e morale – era, in senso manzoniano, ciò che è capace di «illuminare e perfezionare» il popolo (senza magari accenderne troppo le passioni, soprattutto quelle politiche).
Con una battuta fulminante, Bruni amava dire che nella guerra del ’66, la terza d’indipendenza, se la Prussia ci aveva regalato il Veneto battendo gli Austriaci, ciò era dovuto anche alla diffusione di cultura nel popolo prussiano per merito delle biblioteche circolanti.
Anche l’Eroe dei Due Mondi scrisse da Caprera a Bruni parole di elogio e di incoraggiamento: «Lo scopo a cui mira codesta Società è così santo da meritare la considerazione universale ed io fo voto perché l’esempio generoso sia presto imitato nelle città consorelle della Penisola».
Convinto, da buon pratese, che ciò che non costa non ha valore agli occhi di chi acquista, Bruni impose agli associati alla biblioteca circolante una piccola tassa di 30 o 40 centesimi al mese per poter accedere al prestito dei volumi: la cosa, forse, fece sì che, a fronte di un impetuoso dilagare in tutta Italia dell’idea di Bruni, la sua creatura pratese, anche se premiata a Parigi nel 1867, ebbe in fondo una vita abbastanza stentata, non sorprendente in una città in cui la tipografia non era apparsa prima della fine del XVIII secolo e in cui la lettura, o anche il semplice maneggio, dei libri sono stati così rarefatti e ostacolati da farvi nascere una biblioteca comunale solo pochi decenni fa, probabilmente ultima, in ordine di tempo, di tutto l’Occidente. Adesso, si spera sia un’altra storia.
Oltre che nel tenace apostolato in favore della cultura popolare, Antonio Bruni spese la sua breve esistenza in una brillante carriera di insegnante e dirigente scolastico.
Si spense a Campobasso il 19 novembre 1891.

 

Primaria Alberto Manzi

Chi era Alberto Manzi?

Nasce a Roma nel 1924.
Dopo l’esperienza di guerra come sommergibilista, nel 1946 inizia l’attività scolastica presso il Carcere ‘A. Gabelli’ di Roma. Nel 1954 lascia la direzione dell’Istituto di Pedagogia della Facoltà di Magistero di Roma per fare l’insegnante elementare e portare avanti, ‘sul campo’, quelle ricerche di psicologia didattica che continuerà almeno fino al 1977, quando abbandona l’insegnamento.
Ha curato sussidiari, libri di letture, diari scolastici. Assai intensa l’attività di scrittore, con oltre 30 titoli tra racconti, romanzi, fiabe, traduzioni e testi di divulgazione scientifica tradotti in tutte le lingue (Orzowei, scritto da Manzi, è uno dei libri di letteratura italiana più tradotto nel mondo), che gli sono valsi riconoscimenti e premi internazionali.
Dal 1954 al ’77 si è recato in Sud America ogni estate per corsi di scolarizzazione agli indigeni e attività sociali.
“Non è mai troppo tardi” è solo la più nota di una lunga serie, tra il 1951 e il ’96, di trasmissioni e collaborazioni con la televisione e la radio.
Nel 1993 ha fatto parte della Commissione per la legge quadro in difesa dei minori. Nel 1994 è stato eletto sindaco di Pitigliano (Grosseto), dove risiedeva. Qui si è spento il 4 dicembre 1997.

 

Primaria Salvo D’Acquisto

Chi era Salvo D’Acquisto?

Salvo D’Acquisto nasce il 15 ottobre del 1920 a Napoli, nel quartiere del Vomero, in via S. Gennaro Antignano n. 2, da Salvatore D’Acquisto, nativo di Palermo, e Ines Marignetti, napoletana. Primo di cinque fratelli, Franca, Rosario, Erminia e Alessandro.
Frequenta l’asilo Maria Ausiliatrice e le elementari nella scuola “Vanvitelli”; mette poi a profitto due anni di Avviamento professionale presso la scuola “Della Porta” e due all’Istituto dei Salesiani. A Roma si prepara per la licenza liceale.
I professori lo definiscono riservato, prudente e di poche parole, i compagni lo ricordano altruista, sincero e difensore dei più deboli.
Nella primavera del 1939 riceve la cartolina militare per il richiamo di leva, qui prende la decisione di arruolarsi nell’Arma dei Carabinieri, in cui hanno militato, da parte di madre, il nonno (Mar. Biagio Marignetti) e uno zio e in cui, al momento dell’arruolamento, militano ancora due altri zii, uno materno e uno paterno.
L’arruolamento realizza il suo ideale del “dovere come missione” a difesa dei più deboli e dei più umili, il suo desiderio di operare per la giustizia, un sentimento che lo guiderà per tutta la vita.
Salvo viene assegnato alla Legione Allievi Carabinieri di Roma.
Il 15 gennaio 1940 diventa carabiniere.
Promosso carabiniere, è destinato alla Legione Territoriale di Roma, dove, per qualche mese, presta servizio a Roma Sallustiana, al Nucleo “Fabbriguerra”.
Siamo nel mese di Giugno 1940, l’Italia entra in guerra e Salvo viene inviato come volontario in Africa, cosa che si realizza il 15 novembre 1940, quando si imbarca a Napoli per Palermo, destinazione finale: la Tripolitania.
Dopo un mezzo naufragio della nave, Salvo sbarca a Tripoli il 23 novembre, con la 608a Sezione CC, addetta alla Divisione Aerea “Pegaso”, che viene subito inviata in zona di operazioni.
Salvo è un ragazzo riflessivo, di poche parole. I colleghi gli vogliono bene per il suo carattere disponibile, cordiale, per la sua capacità di condividere gioie e dolori e per il suo spirito di solidarietà.
Salvo è un punto di riferimento non solo per i commilitoni, ma anche per i familiari.
Dal carteggio con i genitori si nota che egli condivide poco della facile retorica dell’epoca. Non solo non nutre odio verso i nemici, ma anzi auspica che, in futuro, «i rapporti internazionali possano essere dominati e guidati da spirito di collaborazione tra i popoli e dalla giustizia sociale».
Verso la fine del febbraio del 1941, Salvo viene ferito ad una gamba.
Resta in Africa sino al 7 settembre 1942 allorchè torna in Patria perchè ammesso al Corso Allievi Sottufficiali, presso la Scuola centrale di Firenze.
Superati brillantemente gli esami alla Scuola di Firenze, Salvo viene promosso vice brigadiere (15 dicembre 1942) ed assegnato alla Stazione di Torrimpietra, una cittadina distante una trentina di chilometri da Roma.
Qui vive gli ultimi nove mesi della sua vita (in paese è amato e stimato da tutti) e da qui gli giungono le notizie delle tragiche vicende che vive la Nazione, la caduta del regime, l’armistizio dell’8 settembre e poi lo sfacelo generale.
La sera del 22 settembre 1943, un soldato di un reparto di SS insediatosi in una caserma abbandonata della Guardia di Finanza, rimane ucciso per lo scoppio di una bomba, due rimangono feriti.
Le versioni finora riportate si differenziano, i tedeschi “gridano” all’attentato, più probabile invece l’ipotesi di un incidente, magari rovistando imprudentemente in una cassetta con all’interno delle bombe a mano lasciata dagli “ex inquilini” della caserma, i finanzieri.
La mattina seguente, comunque, la reazione dei tedeschi non si fa attendere, il comandante del reparto tedesco, recatosi a Torrimpietra per cercare il comandante della locale stazione dei Carabinieri, vi trova il vice brigadiere D’Acquisto, al quale ordina di individuare i responsabili dell’accaduto.
Salvo tenta inutilmente di convincerlo che si è trattato di un incidente, inutilmente.
Più tardi, Torrimpietra è circondata dai tedeschi e 22 cittadini vengono rastrellati, caricati su un camion e trasportati presso la Torre di Palidoro, per essere fucilati.
Salvo prova ancora una volta a convincere l’ufficiale tedesco della casualità dell’accaduto, ma senza esito. I tedeschi costringono gli ostaggi a scavarsi una fossa comune, alcuni con le pale, altri a mani nude.
Per salvare i cittadini innocenti, Salvo (ovviamente totalmente estraneo ai fatti) si autoaccusa come responsabile dell’attentato e chiede che gli ostaggi vengano liberati (un gesto che ancora oggi rimane uno dei massimi esempi di coraggio e nobiltà d’animo nella storia del nostro Paese).
Subito dopo il loro rilascio, il vice brigadiere Salvo D’Acquisto viene freddato da una scarica del plotone d’esecuzione.

Medaglia d’Oro al Valore Militare con la seguente motivazione

“Esempio luminoso di altruismo, spinto fino alla suprema rinunzia della vita, sul luogo stesso del supplizio, dove, per barbara rappresaglia, erano stati condotti dalle orde naziste 22 ostaggi civili del territorio della sua stazione, non esitava a dichiararsi unico responsabile d’un presunto attentato contro le forze armate tedesche. Affrontava così da solo, impavido, la morte imponendosi al rispetto dei suoi stessi carnefici e scrivendo una nuova pagina indelebile di purissimo eroismo nella storia gloriosa dell’Arma”.

 

Secondaria di primo grado Leonetto Tintori

Chi era Leonetto Tintori?

Nacque a Prato l’8 novembre 1908, morì il 2 luglio 2000.

Fin da giovane si impegnò in diversi mestieri: lattaio, filatore, carbonaio, trovando il tempo di frequentare la scuola fino ad approdare verso i 18 anni alla scuola d’arte pratese “Leonardo” iniziando con passione una ricerca dell’arte e della tecnica, tanto da essere premiato con medaglia d’oro.

Si staccò dalla famiglia sui vent’anni impegnandosi nel lavoro di decoratore d’ambienti. Fondamentale il suo incontro con Ardengo Soffici che risiedeva nella vicina Poggio a Caiano. Il sodalizio fra i due ebbe lunga durata e fu ricco di molteplici esperienze, in particolare la ricerca dei pittori antichi da Giotto fino al Lippi e Masaccio. Iniziò la sua attività di restauratore e la fama del suo lavoro lo portò a lavorare intensamente sia in Italia che all’estero. La sua sete di apprendere nuove esperienze lo portò a iniziare un fecondo periodo di scultura, culminato con la partecipazione, nel 1931 e nel 1935, alla “quadriennale di Roma”.

Nella sua città, Prato, fu attento protagonista di quella scuola detta appunto “Scuola di Prato” insieme a Del Rigo, Brogi, e Martini. Degna di nota in quel periodo l’intensa attività che lo vide partecipe a mostre regionali e nazionali, tanto che molti dei suoi lavori sono presenti in collezioni pubbliche e private. Nel pieno della sua maturità di uomo e di artista si cimentò con autentico successo nella ceramica, sapendo cogliere gli aspetti più semplici e veri del vivere quotidiano.

Leonetto Tintori espresse come non mai la sua genuina sensibilità, la sua forte generosità, la sua particolare attenzione su ciò che lo circonda, mettendo a disposizione la sua casa studio immersa nel verde di Figline, attrezzandola a scuola d’arte frequentata da giovani italiani e stranieri. Una scuola originale tesa a valorizzare l’esperienza del passato per nuovi innesti proiettati in avanti. Una scuola che si ricongiunge idealmente e concretamente ad una esperienza della nostra storia che ha segnato prima la vita artistica della nostra Regione e poi nazionale, per espandersi infine fuori dai confini del tempo e dello spazio come valore intrinseco universale.

Le botteghe d’arte, vere e proprie scuole, hanno segnato nel corso dei secoli, in particolare nel rinascimento, il cammino dell’uomo operando un vero e proprio riscatto morale dai secoli oscuri del medioevo, tramandando di padre in figlio, da maestro a allievo, un apprendimento dell’arte, come vera espressione della vita dell’uomo che si rinnova.

Questi tratti salienti si ritrovano oggi in questa esperienza singolare, preziosa, che la scuola del Tintori ripresenta alle soglie del secondo millennio con una attenzione e una sensibilità che deve essere per tutti noi lezione di meditazione e riscoperta di autentici valori. Si evidenzia allora un colloquio aperto fra il maestro e gli allievi, fra uomo e natura in una felice sintesi espressiva capace di fondere in positivo il passato con il presente, arte e ambiente, cultura e popolo. I tratti dell’arte del Tintori pacati e scarni vanno al cuore di chi guarda come messaggi sempre contemporanei all’uomo. Una vita per l’arte, quindi una vita per l’uomo, tutt’ora disponibile a trasmettere i valori più genuini di questa nostra terra di Prato.

La Storia della scuola

La nostra Istituzione Scolastica è stata costituita grazie ad un apposito decreto degli organi competenti in materia. Di seguito alcuni momenti importanti, rappresentati tramite timeline, delle nostre attività più recenti.